Con l’interrogazione del Consigliere Michele Menchetti, del 31 ottobre scorso, siamo venuti a sapere della newsletter n. 8/2024 del 28 agosto 2024, trasmessa dal Servizio Personale a tutti i dipendenti del Comune di Arezzo, alla parte intitolata”Dipendenti pubblici e social media”.

Il governo Meloni con il DPR 81/2923 ha modificato il DPR 62/2013 ed ha introdotto uno strumento di controllo e di repressione per l’utilizzo dei social da parte dei dipendenti pubblici, viene imposta una sorta di censura che ricorda le leggi cosiddette fascistissime, introducendo, in particolare, una sezione dedicata all’utilizzo dei social network per tutelare l’immagine della Pa.

Non si stabilisce nulla in particolare per i politici che ricoprono cariche elettive nella PA, come se con il loro comportamento non possano danneggiare l’immagine della PA, mentre si arriva a stabilire, inoltre, lo svolgimento di un ciclo di formazione sui temi dell’etica pubblica e del comportamento etico per i neoassunti, la cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità.

Il comune di Arezzo, governato protempore dalla destra estrema, ha provveduto tempestivamente a recepire tali previsioni, nel nuovo art. 10-bis del codice di comportamento del personale del Comune di Arezzo.

Anche la giurisprudenza amministrativa con una recente Sentenza del TAR della Sardegna (sentenza n. 174/2022) ha anticipato in parte la decisione del governo Meloni, ponendo un veto alla pratica di insultare o denigrare la propria PA nelle chat di messaggistica di Whatsapp dei Dipendenti Pubblici: si rischiano pesanti sanzioni disciplinari nonostante l’eventuale cancellazione di un proprio commento offensivo, di uno “status” o di una foto. In base a questa decisione se il funzionario pubblico viene a sapere di una chat, anche privata, ritenuta offensiva, può prendere pesanti provvedimenti nei confronti del pubblico impiegato.

In base a questa decisione l’amministrazione, che viene informata del contenuto di una conversazione avvenuta sui social tra alcuni suoi dipendenti, può certamente valutare la rilevanza disciplinare delle pesanti parole scritte sul proprio conto. Il fatto che sia una conversazione privata, cioè non aperta ad altre persone oltre a un unico suo collega, sembra non qualificare nulla per il Giudici sardi, il dipendente può subire un provvedimento disciplinare.

Ma anche la dottrina, vicina al governo Meloni, già si spinge a sostenere che le parole nocive per la reputazione della PA non necessariamente devono avere tutti i presupposti previsti per la diffamazione penalmente rilevante, per essere base di un rimprovero o anche di una sanzione disciplinare più grave, quindi, sembra che si voglia lasciare un enorme potere discrezionale e soprattutto di censura, in mano a chi comanda nella PA, contri i propri dipendenti.

Nel leggere questi provvedimenti legislativi del governo Meloni ci viene alla memoria e vi vogliamo ricordare che tra le leggi fascistissime troviamo la Legge 24 dicembre 1925, n. 2300 (“Dispensa dal servizio dei funzionari dello Stato”) che attribuiva la facoltà da parte del governo di, “fino al 31 dicembre 1926, di dispensare dal servizio, anche all’infuori dei casi preveduti dalle leggi vigenti, i funzionari, impiegati ed agenti di ogni ordine e grado civili e militari, dipendenti da qualsiasi Amministrazione dello Stato, che, per ragioni di manifestazioni compiute in ufficio o fuori di ufficio, non diano piena garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri o si pongano in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del Governo”.

In base a questa norma il governo di Benito Mussolini poteva dispensare dal servizio funzionari, impiegati e agenti pubblici le cui opinioni siano contrarie al regime e alla politica generale del governo.