Di Niccolò Agostini

Arezzo la mattina profuma di caffè e pietra bagnata. La città si muove tra turisti e impiegati, ma dietro il retro del Duomo c’è una porta che si apre su un altro tempo. Una stanza piccola, quasi spoglia: due sedie una di fronte all’altra, un crocifisso appeso al muro, una bottiglietta d’acqua santa poggiata accanto, spesso rovesciata in fretta durante una benedizione. Il pavimento conserva macchie lucide che profumano di incenso e pietra bagnata.

È qui che Don Alvaro accoglie chiunque arrivi. Non c’è scrivania, non c’è filtro: solo tu, lui e il silenzio. La luce entra smorzata da una finestra alta, tagliando la stanza in diagonale. Il legno delle sedie scricchiola, l’aria è ferma, ma mai pesante. C’è la sensazione che il tempo si allarghi, che l’attesa fuori perda significato.

Don Alvaro non è l’esorcista che ti aspetti dai film. Non brandisce croci urlando in latino. Ti guarda negli occhi. Ti lascia parlare. A volte prega, a volte resta zitto. Ti benedice, e quell’acqua che scivola a terra sembra lavare un peso che non si vede. Non è psicologo, ma è gratuito. E gratis, oggi, non è solo il costo: è la libertà di essere ascoltati senza essere misurati, valutati, giudicati.

Le sue giornate sono fitte. Dal mattino fino a sera, una sequenza di persone con fardelli invisibili: malattie, ansie, storie che non trovano spazio altrove. Lui c’è. Sempre. In quella stanza dove basta la combinazione di due sedie e un crocifisso per sentirsi al sicuro.

Cinquant’anni di sacerdozio hanno lasciato in lui più rughe di tempo che di abitudine. Da Cortona ad Arezzo, dalla Cattedrale alla Pieve di Santa Maria, fino alla cappella della Madonna del Conforto, ha attraversato mezzo secolo di volti, funerali, matrimoni, battesimi. Ma la parte che non finisce mai nei registri è questa: l’ambulatorio dell’anima che custodisce in quella stanzetta umida e scarna.

E sì, è anche esorcista. Ma qui l’esorcismo non ha spettacolo. È vicinanza. È acqua santa a terra, è ascolto, è dire a chi non ha più voce: “Non sei solo”.

Arezzo lo sa. Lo riconosce nei vicoli e alle feste, lo applaude alla Giostra del Saracino, lo interpella quando la città si divide perfino per il calcio. Lui risponde sempre allo stesso modo: con calma, con fermezza, con quel modo semplice di riportare tutto all’essenziale.

Questo articolo non è su un sacerdote che combatte i demoni da copione. È su un uomo che, nel retro del Duomo, ha scelto di aprire una porta e dire: “Entra”. Una porta che separa il rumore della città da uno spazio dove il dolore può respirare.

In un’Italia dove persino parlare sembra avere un prezzo, Don Alvaro resta un uomo che ascolta. E sembra poco, ma è tantissimo. È la differenza tra sentirsi uno qualunque e tornare a casa, dopo quell’incontro, con un pensiero semplice e rivoluzionario: non sei solo.

Niccolò Agostini