Le tabelle approntate da Samuele Shehaj sono sufficienti per documentare come la provincia di Arezzo sia stata attraversata da un terremoto politico che ha portato le forze di una destra che si dissocia dal dettato costituzionale e dai valori del 25 aprile ad aggiudicarsi percentuali di voto che oscillano spesso, complessivamente, attorno al 50 per cento. Il fenomeno prende le mosse nel 2015 con la sconfitta subita dal centrosinistra nelle elezioni comunali di Arezzo. Seguono poi a ruota le sconfitte in quelle che si possono considerare le “capitali” delle quattro valli che compongono il territorio provinciale: Montevarchi/Valdarno (2016), Sansepolcro/Valtiberina (2016), Bibbiena/Casentino (2014), Cortona/Valdichiana (2019). Il fenomeno diventa travolgente nelle elezioni politiche, europee, regionali del 2018, 2019, 2020, con la definitiva marginalizzazione del Pd, che si vede ora costretto entro percentuali che si aggirano intorno al 25,26 per cento. La tendenza non risparmia nemmeno i comuni colpiti nella primavera/estate del 1944 da stragi nazifasciste (Stia, Civitella, Cavriglia) e nemmeno Subbiano, comune caratterizzato per molti anni da una fortissima tradizione partigiana.

La provincia di Arezzo tende dunque a presentarsi come un “case study” particolare se riferito alla scala dei risultati regionali. Certamente il fenomeno della sparizione di una cultura politica “rossa” investe l’insieme della Toscana. Etuttavia proprio il confronto con il comprensorio del cuoio analizzato in questi termini da Mario Caciagli (Addio alla provincia rossa. Origini, apogeo e declino di una cultura politica, Carocci, 2017) ci aiuta a capire le differenze dell’Aretino, che registra un crollo sistematico del tradizionale insediamento di sinistra non riscontrabile in questa misura in altre aree.

Anche in previsione delle prossime elezioni comunali del maggio 2021, allorché altre amministrazioni di centrosinistra saranno esposte alla prova del passaggio elettorale, sorge la domanda: in che modo e a quali condizioni è possibile arrestare e invertire la tendenza elettorale che si è imposta nell’ultimo quinquennio?

Di qui il bisogno di una analisi spregiudicata, e soprattutto disinteressata, che voglia e sappia guardare in faccia la realtà, rimettendo in campo i soggetti e i bisogni reali con cui sempre deve fare i conti in ultima analisi la lotta politica. Pensiamo al contributo di studiosi che ci aiutino a capire come i trend politici nazionali acquistino toni particolarmente crudi nella provincia di Arezzo, forse entrando in contatto con un sostrato culturale di più lunga data. Ma anche ad un discorso sulle responsabilità politiche, sulla natura e sulla opportunità delle scelte compiute in termini di programmi, di candidature, di alleanze sociali e politiche.

In questo quadro la ricerca non potrà non misurarsi con almeno tre ordini di problemi:

  • Quali i fattori che hanno prodotto una ridefinizione populista del concetto politico di popolo invocato come architrave dalla nostra stessa costituzione.
  • Quali gli effetti prodotti dalla ridefinizione della fisionomia della sinistra operata da Matteo Renzi nel quadriennio (2014-2018) della sua diretta responsabilità politica, e che nella provincia di Arezzo ebbe un consenso particolarmente pronunciato nel ceto dirigente del PD.
  • In che rapporto stanno oggi voto amministrativo e voto politico. Ossia in che misura la catena di sconfitte subite dalle amministrazioni di centrosinistra sono state influenzate da tendenze politiche e correnti di opinione di ordine nazionale e in che misura debbano essere invece attribuite al decadimento e al corrompimento della capacità amministrativa e del suo stare in diretto rapporto con i bisogni della gente.

David Faltoni, Leonardo Paggi, Andrea Vignini

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