“Abbiamo perso una battaglia, non la guerra” è stato uno degli slogan delle varie manifestazioni contro la tagliola utilizzata in Senato per il ddl Zan.

Questa frase, leggermente modificata di De Gaulle, riassume l’attività delle associazioni LGBTQI+ italiane. La battaglia persa (per il momento) in Senato non li ha sconfitti, anzi, li ha resi ancora più agguerriti e volenterosi di conquistare quei diritti, basilari, dei quali sono stati privati. Questa seconda fase di battaglia è caratterizzata da continui eventi che coinvolgano la società civile, ovvero la popolazione. La stessa popolazione che, secondo i vari sondaggi, sarebbe stata in maggioranza favorevole all’approvazione del ddl Zan. Una popolazione che, per quanto presenti fasce estreme e bigotte, è più aperta alla novità (scusate paesi del Nord Europa, ma in Italia dare diritti alla comunità LGBTQI+ è una novità) di quanto lo sia la politica, ma questo, credo, non stupisca più di tanto.

Sì è tenuto ieri pomeriggio presso la Feltrinelli di Arezzo un incontro organizzato dall’associazione Chimera Arcobaleno e Famiglia Arcobaleno Toscana per promuovere la storia di Mattia Zecca, autore del libro “Lo capisce anche un bambino”. Non è il mio obiettivo riassumere l’incontro né tantomeno il contenuto del libro perché, ovviamente, non sono in grado di raccontarlo con la stessa passione, emozione e intensità con il quale lo ha fatto l’autore. Volevo invece parlare di alcuni punti menzionati durante l’incontro che mi fanno riflettere e arrabbiare, se proprio devo essere sincero.

Le famiglie arcobaleno sono completamente inesistenti. Sì, coloro che ogni giorno devono tirare in ballo la parola famiglia si dimenticano di includere questa “tipologia” di famiglia.
È innegabile che, quando si parla di discriminazione e di mancanze di diritti, le famiglie arcobaleno e le persone transessuali siano le più colpite. Basti pensare al problema della “terribile” parola identità di genere nel ddl Zan. E quindi quell’applauso per l’affossamento dei diritti di una parte della popolazione richiama subito alla mente l’altro tradimento della nostra politica. Ricordate lo “scandalo” delle step-child adoption della legge Cirinnà? Le battaglie dei politici affinché tale legge non passasse perché “dovevano pensare ai bambini”.
Ed ecco, dov’è lo slogan della moglie del reverendo Lovejoy “ma non c’è nessuno che pensi ai bambini”? Perché la politica, quella sana e ragionevole, deve sempre mettere al primo posto il benessere e la felicità dei più deboli, dei più indifesi. Invece la nostra politica, salvo rarissime eccezioni, ha fatto dell’odio un cavallo di battaglia e i più deboli sono diventati oggetto di attacco. E così la persona LGBTQI+ non deve essere tutelata perché lontana dal concetto di famiglia normale e citando la grande Ilaria Occhini nel film di Özpetek “Mine Vaganti”: “normalità, che brutta parola”.

A tutti coloro che si riempiono la bocca di tutele dei bambini, dico allora di pensare veramente a loro. Ma pensate solo a loro e al loro bene, dimenticate per un momento i soliti discorsi di propaganda, tanto se tutto va bene, dopo 5 anni sarete in parlamento ad appoggiare il partito avversario.
Il bene ultimo per un bambino non è quello di essere amato? Non è quello di vivere in una famiglia? Davvero il concetto di famiglia è solo quello di un padre e una madre? Quindi un bambino che perde uno dei genitori non ha una famiglia? Un figlio di una ragazza madre non ha una famiglia? Perché, forse sono strano io, il concetto di famiglia per me è un concetto di affetto, di amore, di aiuto reciproco. È quel rapporto di fiducia e di presenza che si sviluppa tra persone che si vogliono bene, dove a nessuno dovrebbe interessare l’identità di genere o l’orientamento sessuale, così come a nessuno interessa se i suoi genitori sono alti o bassi, belli o brutti. Sono tutte caratteristiche che passano in secondo o terzo piano quando si è in famiglia.
Allora, chi può dire che un figlio di una coppia eterosessuale è amato e quello di una coppia omosessuale (e mi permetto di aggiungere anche la categoria single) no? Chi può affermare che manca l’immagine e il senso di famiglia quando c’è amore?
Eppure, per lo Stato italiano, una famiglia composta da due babbi o due mamme non è considerata una famiglia. Se una famiglia arcobaleno ricorre alla fecondazione assistita, il paese dove nasce il bambino riconosce entrambi i genitori. Al loro rientro in Italia, solo uno dei genitori, quello biologico, verrà riconosciuto. E qui vi pongo una domanda: lasciamo perdere per un momento la coppia, tanto il livore e l’odio della politica bigotta e delle persone che la seguono verso le coppie omosessuali sono ormai noti; pensiamo al* bambin* che nasce in una famiglia arcobaleno, perché li dovrebbe avere un solo genitore quando ne ha due? Perché se a uno dei due genitori dovesse succedere qualcosa a scontarne, non solo emotivamente, deve essere il bambino? Vi rendete conto che se il bambino dovesse essere ricoverato in ospedale, il genitore non biologico non avrebbe diritto a ricevere informazioni? Vi rendete conto che se mai dovesse venire a mancare il genitore biologico, il bambino rimarrebbe orfano per lo Stato, con tutte le conseguenze che ne derivano, quando in realtà avrebbe un’altra figura genitoriale che è sempre stata con li e che li riconosce come genitore? Allora, voi che pensate ai bambini, smettetela di usare slogan a cui neanche voi credete. Smettetela di “pensare ai bambini” quando non vi interessa nulla di loro. Il vostro unico pensiero è riempire di odio i vostri discorsi e le vostre idee, la vostra unica preoccupazione è sapere (e godere del fatto) che esistono in Italia migliaia di famiglie arcobaleno totalmente private dei diritti, in uno stato di preoccupazione continua per il futuro dei loro figli. A voi questo interessa, a voi la felicità e il bene dei figli non interessa, basti pensare ai classici discorsi: “meglio un figlio tossico che gay”, a dimostrazione che non vi importa che vostro figlio sia felice, l’importante, soprattutto se nato maschio, è che giochi a calcio, vada con tutte le ragazze della città, diventi medico o avvocato perché, in fondo, a voi interessa solo la vostra propria felicità, il vostro erede non è un figlio, non è una persona con una propria personalità, per voi è solo un’entità su cui scaricare i propri insuccessi, un corpo in cui plasmare la persona che voi non siete riusciti ad essere. L’unica cosa che invece è uscita dalla testimonianza di ieri è l’interesse per la felicità del figlio e lo sviluppo della sua propria personalità. Perché una famiglia arcobaleno quel figli* l’ha davvero voluto, ha sfidato un sistema sociale e politico per avere un* figli, ha vissuto discriminazioni e quindi non cercherà mai di creare quel bambino a immagine e somiglianza delle loro aspettative, ma cercheranno solo di crescerlo felice e libero di esprimere la propria identità. Alla fine, non è questo il concetto di famiglia e, soprattutto, di amore di cui ha bisogno un bambin*?

In un mondo nero come quello in cui viviamo, tra emergenza sanitaria, riscaldamento globale, futuro economico incerto, persone che ancora muoiono di fame, c’è bisogno di portare luce e colore. Dopo una giornata di pioggia, appena c’è uno spiraglio di sole, i suoi raggi si riflettono in una pozzanghera dove sono stati dimenticati i diritti della comunità LGBTQI+ e da quell’incontro nasce un arcobaleno che riporta colore e felicità al mondo, due caratteristiche che sono sicuramente emerse ieri sera ad Arezzo.